Gesù, ovvero l’assurdo diventato possibile

Gesù chiede cose impossibili, incredibili, assurde. Che senso ha agire a proprio danno, farsi del male con le proprie mani? Siamo davanti a un invito al masochismo?

Più o meno sono reazioni di questo genere quelle che vengono suscitate dall’impatto col Vangelo di domenica scorsa e di oggi (Matteo 5, 17-48). Domande inevitabili se ci limitiamo a una lettura umana, soltanto umana, troppo umana di questi e di altri insegnamenti di Gesù. Peraltro lui sembrerebbe favorire le nostre reazioni quando pone delle antitesi: “Vi è stato detto, ma io vi dico”. Un parlare antitetico che risuona in tutta la prima parte del discorso della montagna, subito dopo le beatitudini. Ci è stato detto, ci viene detto da chi, oggi? E che cosa?

Fai i tuoi interessi, dividi il mondo in amici e nemici, non ti fidare di nessuno, tieniti alla larga da chi ti potrebbe chiedere un aiuto o un prestito … E magari anche: stai con una donna (con un uomo) finché ci sta, finché tutto va bene, finché ne hai voglia o non trovi di meglio.

Se Gesù fosse un maestro che dice: “Fate come vi dico” avremmo ragione a giudicarlo un idealista pazzo e visionario. Ma le cose che Gesù chiede a noi di fare, il modo di vivere le nostre relazioni che lui propone, le scelte a proprio danno… lui le ha fatte davvero, le ha vissute fino in fondo. Quando chiede di porgere l’altra guancia e di lasciarci portar via anche i vestiti che abbiamo addosso è proprio quello che gli è stato fatto in quella che chiamiamo la passione, l’amore del nemico per lui non è stato un concetto astratto, ma il modo effettivo di porsi di fronte ai suoi persecutori, fino a scusarli e pregare per loro: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”. Gesù non è un maestro con i discorsi, ma un testimone con la vita.

E a chi lo segue, a chi tenta di seguirlo, non dà solo un insegnamento: dona tutto se stesso, vive come offerta totale il morire sulla croce, affida al Padre la sua vita che gli sarà restituita dopo tre giorni. Essere cristiani è tentare di seguire Gesù, tentare la logica del dono, provare qualche volta ad amare il nemico, scegliere in qualche caso di rimetterci, rischiare di fare la parte degli stupidi… E comunque poter sempre dire: io non ci riesco, ma Uno di noi lo ha fatto fino in fondo. E quella che chiamiamo passione, che ogni anno celebriamo prima della Pasqua, è davvero un patire ma anche un appassionarsi, accettare e anche scegliere di subire il male senza mai pensare a farlo, a ricambiarlo.

E allora il primo atteggiamento religioso e anche il cuore della fede in Lui è imparare a dirgli grazie, perché ci può davvero insegnare un altro modo di pensare la vita, la libertà, la gioia.

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