LA GUARIGIONE DEL CIECO NATO

Uno dei racconti più belli dei Vangeli! Notevole la “sceneggiatura” in cui l’evangelista Giovanni (9, 1-41) che fa comparire progressivamente sulla scena una quantità di personaggi:

  • prima di tutto Gesù e il cieco
  • poi, in successione: i discepoli che si interrogano sulla causa di una malattia dalla nascita
  • il viaggio del cieco alla piscina a lavarsi gli occhi che Gesù ha cosparso di fango e saliva
  • la gente che stupita si chiede se quell’uomo che ora ci vede sia davvero il mendicante cieco che conoscevano
  • i farisei in atteggiamento di totale ripulsa perché Gesù facendo quel che ha fatto in giorno di sabato ha violato una legge che risale a Mosè
  • i genitori chiamati in causa, incapaci per paura dei farisei di gioire per la guarigione del figlio
  • il dialogo tra i farisei e il cieco, espulso dalla sinagoga perché osa affermare che Gesù è un profeta che sa compiere prodigi come mai nessuno prima
  • infine l’incontro del cieco con Gesù: ora sì che lo può vedere, conoscere e dire: CREDO, SIGNORE!

A quel punto Gesù non è più soltanto un guaritore e un profeta, ma IL SIGNORE. Che sarà riconosciuto e creduto tale solo dopo la risurrezione, ma il cieco nato beneficia già ora della dynamis (=potenza vitale) del Risorto: per lui vedere è davvero passare dalla morte alla vita, mentre chi rifiuta di riconoscere Gesù come Messia (Figlio dell’uomo) rimane nella notte del peccato.

La sapiente costruzione del racconto mette in scena Gesù all’inizio e alla fine, il corpo della narrazione è costituito da ciò che accade in conseguenza dell’agire di Gesù e quasi in sua assenza. Questa cosa può far pensare al modo di porsi di Dio verso di noi: la sua non è una presenza invadente, di un controllore che ci sta costantemente addosso, che ci tallona a ogni passo, che ha bisogno di costanti verifiche del nostro agire. Gesù esce di scena prima ancora che la guarigione avvenga, fa in modo che il cieco abbia parte attiva nella propria guarigione (“Vai e lavati”) e che poi se la sbrogli da solo negli iniziali risultati negativi di quel che gli è successo: i dubbi della gente, le accuse dei farisei, l’ignavia dei genitori… C’è tutto un campionario di umanità restia a farsi sorprendere, salvare, gioire, lasciare dietro le spalle la legge del “si è sempre fatto così” (la legge di Mosè), abbandonarsi all’agire incredibile di un Dio che rende possibile l’impossibile. Gesù è un maestro che lascia liberi i discepoli di sbrogliarsela da soli, gli effetti della sua opera possono essere positivi o negativi, non pretende che il bene si realizzi per forza e attende che nasca dalla libertà degli uomini.

Infine, Gesù e il cieco si ritrovano quasi casualmente, né l’uno né l’altro si sono cercati in modo affannoso, con urgenza: né il cieco per ringraziare, né Gesù per farsi ringraziare. Mi piace vedere in ciò la libertà dell’agire divino, che lascia libertà all’agire umano. Dio non cerca ringraziamenti formali, il nostro grazie deve essere la vita che ci impegniamo a vivere con la forza del suo dono. Gesù non guarisce le persone per legarle a sé ma per donarle al mondo e portare, nel mondo, la libertà gioiosa dei figli di Dio.

E poiché si tratta di un testo battesimale – lavarsi, purificarsi, ritrovare la luce degli occhi che consente di vedere Gesù e di credere in lui e proclamarlo Signore – che ci prepara alla notte di Pasqua in cui rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo, cerchiamo con fede e con gioia di godere del fatto che Gesù ci ha aperto gli occhi e ci fa vendere la nostra vita, il mondo, la storia… tutto illuminato dalla Buona Notizia.

Buona domenica, buon Battesimo!

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