“Apriti!”: Una guarigione pedagogica

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

(Mc 7,31-37)

 

Il profeta Isaia lo aveva annunciato: “Si schiuderanno gli orecchi dei sordi… griderà di gioia la lingua del muto”. La guarigione del SORDOMUTO (Marco 7, 31-37) fa vedere che Gesù è davvero il Messia atteso da Israele. Il suo modo di procedere per restituire al quell’uomo la favella e l’udito, ma anche l’acclamazione della gente che ha assistito al prodigio arricchiscono il racconto di altre risonanze bibliche: Gesù che mette le dita negli orecchi rimanda alla MANO DEL CREATORE che aveva plasmato il primo uomo, la saliva con cui gli tocca la lingua suggerisce una ripresa di quel SOFFIO VITALE divino che all’origine aveva animato la prima creatura umana, la dichiarazione che ha fatto bene ogni cosa (ma forse la traduzione migliore sarebbe: ha fatto bella ogni cosa) è una ripresa di quel ritornello che accompagnava ogni opera creata: “Dio vide che era cosa bella e buona”.

Accanto a questo invito e uno sguardo biblico retrospettivo, il testo propone anche un’anticipazione legata alla celebrazione del BATTESIMO: alla fine del rito il celebrante tocca le orecchie e la bocca del nuovo cristiano augurandogli: “Il Signore ti conceda di ascoltare presto la sua Parola e di proclamare la tua fede a gloria di Dio Padre”. E quel momento del rito si chiama appunto “EFFATÀ”, che è semplicemente l’annuncio “APRITI!” pronunciato in aramaico (la lingua parlata da Gesù).

L’applicazione alla nostra vita è duplice. Prima di tutto è chiaro il riferimento alla necessità vincolante per il cristiano di essere uno che ascolta la Parola, che sviluppa la relazione vitale con Gesù come Verbo di Dio. Grazie al Concilio Vaticano II e alla riforma liturgica che ne è seguita le pagine della BIBBIA sono diventate pane quotidiano della vita di fede. Forse c’è da crescere, da camminare in avanti in questa direzione perché la parola entri sì dalle orecchie ma scenda nella mente e nel cuore per una conoscenza veramente spirituale (cioè mossa, animata dallo Spirito Santo). Una recente indagine sociologica ha rilevato che in materia di Bibbia gli italiani sono un popolo di IGNORANTI, inclusa una buona parte di chi frequenta le chiese. La Parola di Dio va letta, riletta, approfondita, studiata, addirittura “ruminata” come dicevano i Padri della Chiesa, così da spremerne i significati reconditi, la ricchezza di stimoli, le indicazioni vitali.

Ma l’invito “apriti” riguarda anche la bocca: la Parola che è entrata deve anche uscire. Certamente con un PARLARE che sia conforme ai contenuti e ai toni della Parola, al vissuto del Verbo. Gesù che parla con le persone si rivolge sempre con mitezza, con rispetto, con attenzione profonda. Certe volte anche con forza, ma mai in modo aggressivo e piuttosto per scuotere quelle esistenze che anziché dalla verità della Parola si lasciano portare dalla falsità, dalla menzogna, dalla superficialità. Che la Parola debba uscire da noi così come vi è entrata ed è sta accolta diventa un invito e anzi un impegno che riguarda tutti qui cristiani che nella Chiesa e nella società hanno compito di INSEGNARE E COMUNICARE: vescovi e preti, diaconi, teologi, catechisti, insegnanti (di religione e di altre materie), giornalisti, scrittori, poeti…

Ma quell’APRITI suggerisce e forse impone un altro modo di dire la Parola, non con le parole ma con la vita. Il cristiano, le comunità cristiane sono chiamata a praticare il precetto evangelico della CARITÀ, che non può darsi se non in atteggiamento profondo di APERTURA: accoglienza, ospitalità, “fare posto” a chi conosce esclusione, emarginazione… Aumenta il numero di uomini e donne, e in particolare di minori, vittime di tanti tipi di chiusure, di divisioni e contrapposizioni, di egoismi organizzati. Situazioni che nella società in cui viviamo si stanno moltiplicando e vengono perfino ostentati ed elevati stili di vita e programmi di malintesa socialità, di relazioni collettive in cui il bene individuale egli interessi di parte prevalgono sul bene comune. L’alternativa, sulla linea dell’effatà/apriti evangelico è davvero aprire il cuore, le porte, i porti…

Buona domenica!